La quinta sezione del Consiglio di Stato, con sentenza del 24 ottobre 2023, n. 9210 ha affrontato la questione della legittimità dell’esercizio di prelazione da parte del promotore nella finanza di progetto (project financing).
La sentenza verte sui margini di intervento migliorativo e di adeguamento alle esigenze della Stazione appaltante nella fase di esercizio del diritto di prelazione da parte del promotore.
Il Collegio ha escluso la legittimità dell’esercizio del diritto di prelazione in assenza di una totale identità tra la proposta dell’aggiudicatario e quella del promotore.
La pronuncia ha affermato che:
"Il meccanismo della prelazione, da sempre, ha costituito il tentativo del legislatore di trovare un equilibrio fra due valori in contrasto: da un lato, quello di incentivare la massima partecipazione dei privati sin dalla prima fase di individuazione della proposta da porre a base della successiva gara per l'aggiudicazione della concessione, riconoscendo un vantaggio competitivo al promotore, e dall'altro, quello di garantire il rispetto dei principi della massima concorrenza e della parità di trattamento. La soluzione individuata con la previsione del riconoscimento di un diritto di prelazione non era, né può essere oggi, la previsione di un'indebita posizione di vantaggio anticoncorrenziale, ma quella di prevedere un beneficio premiale conseguente all'esito di una procedura competitiva.
L’art. 183 comma 15 d.lgs. n. 50/2016 risponde alle esigenze sopra illustrate. Tanto è vero che il promotore può divenire aggiudicatario se dichiara di impegnarsi ad adempiere alle obbligazioni contrattuali alle “medesime condizioni” offerte dall'aggiudicatario. “Medesime” non significa “equivalenti”. “Medesime” significa “stesse condizioni”. L’espressione normativa richiama un concetto di assoluta identità, e non il ben diverso concetto di “equivalenza” di derivazione eurounitaria, utilizzato in altre disposizioni del codice dei contratti pubblici."
Il Consiglio di Stato si è pronunciato sulla possibilità di limitare il trasferimento all’estero di opere d’arte appartenenti a privati, qualora l’uscita di tali opere dal territorio italiano possa compromettere l’integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione. Nel caso di specie, il proprietario di un quadro di un famoso pittore tedesco aveva richiesto al Ministero della Cultura il rilascio dell’attestato di libera circolazione ed il Ministero aveva negato il rilascio di tale attestato alla luce di una istruttoria nella quale veniva evidenziata la rarità dell’opera straniera in questione e la forte attinenza di tale opera al territorio italiano. Invero, ai sensi del combinato disposto dell’art. 68 e dell’art. 10 del Codice dei beni culturali (d.lgs. n. 42/2004), l’Amministrazione può negare il rilascio dell’attestato di libera circolazione di opere appartenenti a privati laddove queste presentino un interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico eccezionale per l'integrità e la completezza del patrimonio culturale della Nazione. Nel caso di specie, la valutazione svolta dall’Amministrazione ai fini dell’adozione del provvedimento di diniego risultava adeguatamente motivata con riferimento ad una serie di criteri quali la rarità dell’opera, l’altissima qualità dell’opera, il legame dell’opera e del percorso artistico del pittore con il nostro Paese, ecc. A tale valutazione andava aggiunta la considerazione circa l’eccezionale rilevanza del bene ai fini della integrità e della completezza del patrimonio culturale della Nazione (art. 10 del Codice). Pertanto, poiché nella fattispecie ricorrevano entrambe queste circostanze, il Collegio ha ritenuto legittimo il divieto posto dall’Amministrazione sulla esportazione del bene culturale in questione.
Tavola rotonda “Il nuovo Codice degli appalti alla prova del mercato”